La popolarità che ha raggiunto un paese come Finale è strana, la nostra è una zona tranquilla a tratti anonima, fatta di piccoli centri abitati, aziende e campi pianeggianti che si risvegliano in primavera di giallo e verde tra frumento e mais, e qualche monumento che ricorda i periodi in cui veramente eravamo popolari, quando Finale era la piccola Venezia degli Estensi e la città era attraversata dal Panaro. Da allora il tempo e gli uomini hanno cambiato pian piano il paesaggio, ma l’ultimo cambiamento è stato immediato e decisivo.
Perché il terremoto non ha cambiato solo noi stessi, aggiungendo maggiore ansia a vite già preoccupate e mostrandoci prospettive diverse, ma ha cambiato anche il nostro panorama e la nostra strana e noiosa vita della bassa. Lo ammetto, nel paese in cui sono nata e cresciuta mi ci sono sempre identificata poco, non faccio molto parte della vita di paese e appena posso scappo via, perché tutti quelli che vivono in provincia sanno che “non c’è mai niente da fare”, “siamo lontani da tutto”, “per andare in discoteca ci vogliono minimo tre quarti d’ora e torniamo tardi” e spesso il pensiero è che è tutto meglio del mio paesino silenzioso e triste, dove fuori dai luoghi di ritrovo non si può fare troppo casino e per divertirsi si deve andare altrove.
Adesso invece so cosa significa una piazza vuota e silenziosa, so cosa significa non c’è niente da fare, so cosa significa pensare anche solo provare di attraversare il paese non potendo passare per il centro perché le strade principali sono chiuse dalle macerie di mille anni di storia. In quelle macerie c’è anche un pochino di me, ci sono io che passando di fianco alla torre dei modenesi in bici guardavo l’ora solo per verificare che andasse ancora l’orologio, io che ho ballato per anni da piccola davanti al castello mettendomi il tutù nelle vecchie stanze ancora da ristrutturare e che usavamo da spogliatoio, io che l’ultima volta che sono entrata nel nostro duomo ho salutato insieme a tutto il paese il fratello di una mia amica che purtroppo non c’è più...
Ogni mattone caduto durante questo terremoto è un pezzo di noi, un pezzo del mio paese che solo adesso ho imparato ad apprezzare, c’è voluto un vero e proprio scossone per svegliarmi e capire quanto è unico e particolare il mio paese e quanto sono uniche le persone che ci vivono, e che alla fine da fare la sera ce n’è sempre e che si sta bene in baracchina ai giardini chiacchierando e scherzando con i miei amici senza andare chissà dove, che un giro in piazza si può ancora fare anche se le transenne ci bloccano il passaggio nelle zone più pericolose, che c’è tanto da fare e tanti sono già lì a ricominciare la loro vita, noiosa e unica insieme.
Chissà se intanto il nostro paese rimarrà popolare, o forse ritornerà il vecchio e solitario paese della bassa modenese, ma non fatevi ingannare dal nome, Finale non significa fine, siamo soltanto all’inizio di qualcosa di nuovo.
Racconto di simplyhelena.etsy.com
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"Nice to meet you, my name is Maria Helena, I live in Finale Emilia." Until 20th of May 2012, after this introduction, people would look normally at me, if they had an idea about where my village was, or just used to ask me where exactly Finale Emilia was. Now, people look surprised or sadly at me after I introduce myself like this. It is strange in what way Finale Emilia became famous.
It is just a peaceful village: urban areas, some firms and plain pieces of land colored of green and yellow in springtime. Some monuments remind of those days in which Finale was the little Venice of the Estensi family, when the river Panaro crossed the town. Since then, Time and people changed a lot the way this city looks like, but the latest change was immediate and definitive.
The earthquake changed more than ourselves and our lives, adding anxiety to our existence. It has changed the landscape and lifestyle here.
I must confess, that I've never been good taking part of my village's life. I prefer to escape from here any time I can. Those who live in a little village know that "There's nothing to do or to see", and that "we are far from everything", "to go to the nearest disco it takes almost an hour...". Often the impression is that anything is better than my silent and peaceful village, where you are supposed no to make too much noise and where to have fun you'd rather go away from here.
Now I know better what "there is nothing to do" means. I know what exactly a silent village is. I know what it means going through your own village avoiding the centre because the main streets are closed after the falling down of the monuments built almost a thousand years ago. There is something of me among those ruins: there's me cycling near Torre dei Modenesi (Modenesi tower) looking at the clock to be sure that it was still working; me as a child dancing in front of the castle, when the old rooms of it used to be our dressing rooms; me and all the people entering the dome last time to say goodbye to my friend's brother...
Every fallen brick is a piece of our existence, a piece of my village, and I can appreciate it only now. I needed a quake to understand how particular and unique my village is. To understand how special people are and that there is something to do here. Now I know that spending a night chatting in the parks with my friends or having a walk together around the centre it is still possible, though dangerous zones are closed. There is a lot to do and many people are there to start their lives again, their boring but unique lives.
I don't know whether my village will maintain its popularity, or will be forgotten again, but don't trust the name: Finale (ndt: the translated name of this village is Final) is the end of nothing. It is only the beginning of something new.
Translation clode83.etsy.com